mercoledì 30 settembre 2015

CRONACA FAMILIARE di VASCO PRATOLINI

Non c'è nulla di più difficile, complesso, complicato, che scrivere di sentimenti. Di sentimenti e persone comune, nella loro vita comune. Si tende a pensare che la vita quotidiana, le persone "normali", siano argomenti tediosi e insulsi. Da detestare. Per questo meglio parlare di eroi, di meravigliose avventure, dissetano l'anima dei lettori, afflitti da una vita logora, fatta di occasioni sprecate, lavoro, precarietà professionale e sentimentale. Come dar torto a costoro? Nondimeno, a me piacciono le storie dei mediocri, adoro l'epica del "passami il sale", amo la grande narrativa fantasy del "oggi in ufficio..."  Perché noi siamo romanzo e cinema. Noi e le nostre vite, tutte, sono arte e spettacolo.
Talora qualcuno reputa che il realismo sia legato a un pensiero politico ben preciso. E che un grande romanziere debba affrontare le dinamiche sociali più che perdersi nei meandri dell'esistenzialismo.
Parlaci di operai in sciopero, di partigiani, non di un muratore innamorato o di questi due fratelli e della loro  tragica esistenza.
Chiaro che molti non abbiano compreso, all'epoca, la bellezza assoluta, umana e politica, di codesto capolavoro firmato da Pratolini.


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In questo romanzo autobiografico Pratolini mette in scena la tragedia di lui bimbo, rimasto orfano troppo presto e quindi impossibilitato a rammentare per bene la madre, e quella di suo fratello minore: Dante. Costui viene affidato a un nobile inglese che lo alleva nell'agio, nelle buone maniere, in una vita decente, rispetto a quella dignitosissima, ma assai proletaria che Vasco vive a casa della nonna.
Ci vengono narrati i loro incontri in casa del nobile, del morboso affetto possessivo del maggiordomo nei confronti di Dante, che viene ribattezzato Ferruccio poiché il primo nome par troppo grezzo,delle differenze di classe che vivono e sperimentano sulla loro pelle. Di come crescendo, uno si trovi impreparato a vivere. Non sa fare nulla, non riesce a tenersi un lavoro, si sposa e ha una figlia con una donna assolutamente sbagliata,e come l'altro fratello si impegni per diventare scrittore.
Una Firenze poco da cartolina, ma sempre bellissima è lo sfondo che vede protagonisti i due fratelli.
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C'è tantissima malinconia e dolcezza in questo romanzo. Malinconia perché la vita non è buonissima con nessuno dei protagonisti, ma è sopratutto la tenerezza quella che rimane in testa. Oggi ne abbiamo vergogna e repulso solo a pensarla. Viene vista come debolezza o ipocrisia. Il cinismo è l'alibi migliore per i coglioni. Qui invece non ci si vergogna di metter in pagina l'amore. Forte, violento, anche difficile, che vivono i due fratelli. Anche l'impotenza amarissima per non esser in grado di salvare qualcuno che amiamo, anche le debolezze e gli egoismi, ma sempre con quella tenerezza che è in sostanza capacità di comprendere gli altri. Empatia.
Ci si commuove per la scampagnata fuori città fatta dai due fratelli con la nonna, la cura che la donna mette nel vestirsi, nonostante gli anni e i problemi, come tributo ai due amatissimi nipoti, come un ultimo giro sulla giostra della gioia. Ecco queste cose sono le tanto deprecabili persone comuni. Per questo le amo tantissimo. Sanno regalarti momenti intensi, riflessioni alte e dolorose anche se non te l'aspetti.
Non tanto il populismo che le trasforma in oche ululanti, in ignoranti da combattimento, ma la delicata malinconia e la fragile gioia che hanno, che vivono quotidianamente.

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Ogni pagina di questo libro ci riguarda Impone una seria riflessione su quanto siamo in grado di amare un nostro simile, ci commuove per la fragilità insensata della vita, che riempiamo grazie ai legami affettuosi e alla voglia di evolverci. Un libro disperato, tumultuoso nel suo essere profondamente famigliare, graffiante nel suo rimpianto che non ci lascerà mai.
Una di quelle letture indimenticabili, di cui abbiamo sempre bisogno.

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