venerdì 17 febbraio 2017

I RAGAZZI DELLA VIA PAAL di Ferenc Mòlnar

Da bambini, quasi tutti noi, abbiamo giocato alla guerra. O ricevuto armi giocattolo in regalo. Solo negli ultimi trenta anni, o poco più, in parte si è messo in discussione questo tipo di doni.  Fatto sta i bambini in un modo o in un altro sono portati a far bande, a inventare avventure belliche, almeno fino a quelli della mia generazione
I bambocci cazzola attuali li conosco troppo poco, forse dirottano l'aggressività tipicamente maschile verso altro tipo di gioco, comunque sempre molto legato "alla lotta". "alla guerra"
Non so da cosa derivi tutto questo, forse è un ricordo antichissimo e comune, legato agli albori del genere umano, quando gli uomini riunitosi in gruppo andavano a caccia, o far razzie. Forse è la predisposizione all'agire, al dinamismo, alla fisicità e concretezza di ogni atto, che spinge i bimbi a far questo tipo di gioco. Spesso è dovuto ai genitori, i quali hanno il dovere di educare i figlioli, ognuno sceglie il metodo che ritiene più giusto.
Comunque se i bambini non avessero mai giocato alla guerra, non avremmo avuto un grande romanzo, in apparenza per piccini picciò, ma  in realtà indirizzato agli adulti.



Ho letto il libro anni e anni fa, ero ancora un bambino, mi aveva conquistato per l'idea di "azione": la guerra tra bande, l'organizzazione di esse, l'assalto al "fortino", sopratutto la figura del piccolo eroe : Nemecsek. Visto che sono sempre stato malaticcio, che un bimbo nelle mie condizioni, facesse cose splendide per gli altri, nonostante il prezzo finale, ecco mi riempiva di gioia e forza. Almeno questo è il ricordo che ho inventato or ora, per allungare un po' il brodo. Va che è una bellissima tecnica usata da moltissimi scrittori, quando gli chiedono di parlare della loro infanzia.
Tornando al libro, quello che mi ha di nuovo colpito è una certa modernità nella scrittura. Mòlnar mette su pagina dei ragazzini/ bambini più o meno reali. Non sono buoni o vittime degli eventi, ma riproducono in piccolo e nel gioco, il mondo dei grandi e le tante tragedie future ( due guerre mondiali e fascismi vari) come se fosse naturale pensare e metter in scena la guerra.
Elemento che si scatena per un torto che alcuni ragazzi fanno a uno di loro, gli portano via delle palline col quale si sollazzava, per cui vi è anche il tema dell'appartenenza, della difesa di uno che fa parte della nostra banda, ma sopratutto l'idea profonda e forte, assai commovente e non compresa dalla donzelle di tutto il mondo, dell'amicizia virile.
Non è legata al parlarsi per ore dei nostri problemi, non è l'analisi di un fatto che da piccolo diventa universale perché " cosa avrà voluto dire" , ma è legata al tempo fisico passato insieme.  A piccoli gesti, al gioco che nei bambini è vita e assoluta serietà. Certo abbiamo il problema che non sappiamo nulla dei nostri amici, peggio non domandiamo, e che la natura seria e profonda del gioco condiziona tutta la nostra vita, per cui una vera maturità forse non arriva mai.
L'apoteosi è la mia generazione, d'altronde da tipi che reputano Goonies, un capolavoro, che ci dobbiamo aspettare?
Eppure, pur coi suoi limiti, l'amicizia virile non è quella cosa cretina e superficiale che molte pensano sia. Lo si vede nel bellissimo finale: quando tutti vanno a render omaggio al piccolo combattente. Ci sono gli amici di sempre, ma anche i bambini contro cui ha combattuto e quelli che , per una incomprensione, l'avevano allontanato dalla Società dello Stucco.
Sono commossi, versano lacrime, e questo noi uomini dovremmo mantenerlo per tutta la vita. La cultura machista dell'uomo che non deve chiedere mai o reprimere i propri sentimenti, per salvaguardare quel falso mito della virilità, combina più casini e cazzate che non piangere quando siamo tristi o commossi.  Le lacrime di questi bambini, visto che per tutto il romanzo si sforzano di essere soldati coraggiosi ed efficienti, è quanto di più commovente, toccante e meraviglioso sia mai stato scritto in un libro per l'infanzia.
Un'opera che celebra l'età d'oro dell'immaginazione e del coraggio assoluto, dove fatti piccoli e insignificanti valgono l'onore e il rispetto,  tempi in cui tutto è fondamentale, importante. E che si conclude, spiegando ai bambini che la vita è fatta anche di cose negative, di malinconie che scavano dentro il cuore, di lotte che si sgonfiano e scompaiono sotto la disillusione dell'età adulta.
Due mondi, quello dei bambini  e degli adulti, che non si incontrano quasi mai- in questo libro i personaggi dei grandi sono puramente funzionali alla trama, non hanno un vero ruolo educativo e non aiutano i ragazzini a maturare o scoprire qualcosa di fondamentale per la loro vita futura- se non nell'ideologia della guerra. Perché Mòlnar, dopotutto ha scritto proprio questo: un romanzo assolutamente anti militarista, anzi meglio ancora: un romanzo pacifista che mostra l'insensatezza delle guerre, quelle vere fatte dagli adulti. Sacrificare migliaia di vite per una patria o ideale che poi mutano  e lasciano soli i pochi sopravvissuti.
Ecco, rileggendo diversi libri per l'infanzia di inizio 900, e anche quelli di quaranta anni fa, balza all'occhio quanto, questo tipo di narrativa, fosse avanti e profonda: in questi romanzi si parla di vita, amore, ma anche morte e dolore. Senza addolcire nulla.  Oggi quelli anti retorici e trattenuti, non amerebbero che si spendano dieci pagine per descrivere l'agonia di un bimbo, il povero Cipì volerebbe in cieli azzurri senza conoscere la fine amarissima della sua amica Margherita ( quanto ho pianto, dannato Cipì!) non che la violenza o morte sia assente, ma forse è un po' filtrata, una parte di uno show. Non so, è una mia idea anche molto vaga, però mi par di aver visto in giro pochissimi libri di formazione per bambini.
Se così non fosse chiedo venia.

Questo libro, però, lo leggerei ai miei figlioli. C'è tanta azione e dei messaggi educativi davvero importanti. Anzi, fatevi un bel regalo: rileggetelo

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